lunedì 12 settembre 2016

La Mia Africa cap 1

LA MIA AFRICA


“ARGHH!!!” mi svegliai con dolori alla pancia tipo parto. Erano fitte incredibili. Fottuti aerei, ti imbarchi che ci sono 40 gradi e sudi come un porco, in volo magari mangi qualcosa, ti appisoli e ti svegli con -5 per via dei condizionatori che ti sparano tutto il ghiaccio del polo nord sulla pancia. Ovviamente provi a coprirti con la copertina ma ormai il mostro è sveglio. Senti un alien nella pancia che desidera solo uscire, hai pochi minuti per agire, o gli lasci fare il suo percorso naturale o sarà un bagno di sangue. Ok non è sangue visto il colore, ma per consistenza e “spaglio” potrebbe assomigliargli.
Ero su questo volo dell’Ethiopian Airlines da Roma a Addis Abeba, lì avrei preso una coincidenza per Bujumbura con scalo a Kigali. “Bujumbura? E dove cazzo è?” era la domanda che nel mese precedente mi ero sentito ripetere più spesso “è la capitale del Burundi” era la mia risposta, risposta che apriva ad una seconda domanda ancora più ficcante “Burundi? E dove cazzo è?”. Avrei potuto iniziare a parlare del lago Tanganica, della Tanzania e del Rwanda, tutti luoghi che avrebbero modificato la domanda iniziale solo nella prima parola per cui avevo imparato a sparare la palla in calcio d’angolo con un diplomatico “in Africa centrale” era ovviamente una risposta che non chiariva minimamente la mia destinazione ma era pur sempre un’indicazione di massima accettabile dai più. Facendo un’analogia era come se due americani si fossero detti “dove vai?” “a Campobasso” “Campobasso? E dove cazzo è?” “in Europa” “ah, bella”… questo ipotizzando che il Molise esista davvero. Comunque in questo modo mi levavo dall’impiccio e la discussione poteva proseguire con la seconda domanda di rito “e che ci vai a fare?” “vado al matrimonio di un mio amico” “ e perché si sposa là?” “guarda, aveva cercato una chiesa a Sesto Fiorentino ma erano già tutte prenotate e la più vicina libera quel giorno era a Bujumbura”. All’occhio incredulo del mio interlocutore dovevo smascherare il mio bluff “no è burundese, ha fatto l’università qui, dai lo conosci era il mio testimone di nozze” “ma chi quello nero?” “no la ragazza mora, Elena mia cugina”. Cazzo avevo due testimoni al mio funera… matrimonio, un marcantonio di un metro e novanta nero come la pece ed una ragazza bianca di un metro e cinquanta, quale sarà mai stato l’amico africano che si sposava?
Comunque sia si sposava, lui burundese lei rwandese, volevo, voglio e vorrò sempre bene a entrambi avrei mai potuto mancare al loro matrimonio? No. Ovviamente non potevo portare né moglie né figlia piccola per via dei vaccini. Il fatto è che per andare laggiù servivano un paio di quintali di vaccini. Giuro se vai in alcuni paesi africani i vaccini non li contano più a numero ma a quintali o addirittura a pancali, li portano nella stanza dell’ospedale con il trans pallet. Lo ricordo ancora il giorno dei vaccini:
“allora dove deve andare?”
“Burundi”
“Burundi? E dov….” Ok questa parte l’abbiamo capita e possiamo serenamente saltarla. “beh per il Burundi la vaccinazione considerata obbligatoria è quella per la febbre gialla”
“vabbeh dai credevo peggio”
“poi ci sarebbero le fortemente consigliate come l’epatite A e B, la meningite (metta lei un po’ di lettere a caso), la pleurite, la stomatite e altre 15 malattie totalmente incomprensibili ma che finiscono in “ite” per cui devono essere gravi, ci risultano anche un paio di casi di qualcosite nel Leshoto e in Liberia, che faccio lascio?
“sinceramente quello ne farei a meno”
“Come mai?”
“ha mai visto una cartina dell’Africa? Sarebbe come se andassi a Parigi e mi vaccinassi contro una malattia che è presente in Groenlandia e in Turchia”
“contento lei. Allora si presenti settimana prossima con due amici”
“due amici? Perché due amici?”
“con tutti vaccini da fare il suo culo secco non basta serviranno le chiappe di almeno un paio di amici”
Armato di santa pazienza e di chiappe in prestito mi presentai per i vaccini, bucato peggio di un puntaspilli la dottoressa continuò
“ed ora parliamo di profilassi”
“no guardi, sono sposato, ho una figlia, non vado per fare sesso vado ad un matrimonio”
“ho detto profilassi non profilattici. Là c’è la malaria e va fatta la profilassi”
“scusi non era in una delle 80 siringhe che mi ha scagliato sul culo?”
“no, quelli sono vaccini, si vaccina solo la roba in “ite”, questa finisce in “aria” e non esistono vaccini ma si può fare profilassi”
“ah ok quindi con la profilassi non prendo la malaria”
“no. La puoi prendere lo stesso”
“allora che la faccio a fare?”
“sei laureato in medicina?”
“no, in economia”
“perfetto. Dicevamo la profilassi, ci sono due medicinali possibili, uno lo passa lo Stato e devi prendere una pasticca a settimana, uno costa 50 euro a scatola e prendi una pasticca al giorno”
“beh come ho detto sono laureato in economia, sparami il gratuito”
“perfetto, quei sei volumi laggiù sono le controindicazioni di quello gratuito, ho l’obbligo di dirle solo le più gravi, vomito, diarrea, ulcere, depressione, incubi, manie di persecuzione, istinti suicidi…” arrivati alle 7 piaghe d’Egitto la interruppi
“quello da 50 carte lo trovo perfetto”
Partimmo. Eravamo io, Marco, il ragazzo di Marie Claire (giuro che se un giorno ricorderò il nome lo aggiungerò ma credo non lo abbia proprio, io lo chiamavo “ragazzo di Marie Claire”) e Lorenzo, il fratello di Francesco, lo sposo. All’imbarco si presentò un amico del cugino di uno che una volta aveva incontrato uno che era al matrimonio. Insomma un perfetto sconosciuto che in comune con gli sposi aveva solo il colore della pelle e che doveva far arrivare una valigia in Burundi. Una valigia di cui non ci fu detto il contenuto ma che necessitava di un accompagnatore. L’unico che aveva meno valigie e se la poteva prendere in carico era Marco, inutile dire che il fatto di trasportare una valigia dal contenuto ignoto, per conto di una persona sconosciuta in un paese con la pena di morte e senza estradizione lo preoccupò un tantino. Ovviamente quello che accadde dopo con la valigia fu decisamente peggio ma procediamo con calma.
“argh!!!” il dolore era troppo forte, l’aereo rullava, beccheggiava, planava, che cazzo ne sapevo, faceva quello che fanno gli aerei mentre ti sballottano e te senti un treno merci senza freni in corsa nelle viscere. Mi alzai per recarmi in bagno facendo spostare i miei amici accanto “vai al cesso?” mi chiese Lorenzo “no vado a partorire” “in che senso?” “lascia perdere, umorismo bianco”. Entrai nel cesso, come tutti i cessi degli aerei era 1 metro per 1 metro, puzzava da morire, era sporco e l’aereo stava saltando le nuvole anziché passarci dentro. Non ce la facevo a sedermi sul vaso, mi faceva schifo. Ora molto probabilmente il bagno non era così drammaticamente sporco come lo sto descrivendo, credo che il problema sia mio, ho sempre avuto una rapporto di amore-odio con i cessi. Io per sentirmi a mio agio devo essere nel MIO bagno, con le MIE cose, la MIA carta igienica, il MIO bidet, il MIO asciugamani altrimenti mi blocco. Ogni piccola cosa che mi allontana da questo MIO perfetto mondo ideale mi lascia irritato, se poi siamo molto lontani arrivo addirittura al blocco intestinale (ricordo ancora alla visita di leva la tenni 3 giorni), ma lì ormai era troppo tardi, il treno stava sferragliando a tutta velocità nell’ultimo tratto di un binario morto. Mi calai pantaloni e mutande e tenendomi ad una giusta distanza dal vaso a gambe piegate… il pilota decise che era il momento perfetto per compiere un perfetto giro della morte.

Mi pulii, mi girai e notai con terrore e orrore che due minuscole palline avevano centrato il vaso, tutto il resto aveva disegnato volute ed arabeschi su tutta la tavoletta ed il muro retrostante. La respirazione mi accelerò, non sapevo cosa fare, ero in preda al panico, con la carta igienica cercai di ripulire il tutto, dopo 10 minuti l’effetto spugnato della parete mi parve un buon compromesso ed uscii “mah certa gente fa proprio schifo” dissi al signore in fila dopo di me per il bagno e raggiunsi nuovamente il mio posto.

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