NATALE IN CASA PITTA
Ferragosto, inizio della scuola, halloween o ognissanti a
seconda se volete essere più devoti a Dio o a Satana, l’8 dicembre che nessuno
di preciso ha mai capito che festa sia ed è già Natale. Cazzo.
Un tempo per arrivare a Natale passavano dei mesi, era una
lunga ed estenuante attesa per noi ragazzini che speravamo che l’omone con la
barba ci giudicasse meritevoli di avere la pista della polistil. Ora è tutta
una corsa frenetica, già dal 3 novembre nei supermercati fanno capolino i primi
panettoni e pandori, il torrone arriva a metà novembre, il calendario
dell’avvento il 20 novembre è esaurito ovunque.
Le palle, non quelle dell’albero ma quelle dei miei coglioni,
intonano pezzi Michael Bublè. Eppure un tempo adoravo il Natale, le vacanze, i
dolci, i parenti, i pranzi e persino la tombola, un tempo tutto era rivestito
da una magia speciale, da una sensazione e un desiderio di bello, di buono e di
speranza.
Crescendo tutto questo è sparito, non in tutti per carità,
ci sono persone come mia sorella che probabilmente hanno delle apposite droghe
natalizie che le rendono euforiche ed esaltate dal Natale, forse fumano il
muschio del Presepe o sniffano lo zucchero a velo del pandoro, fatto sta che ne
sono entusiaste. Io no.
Non so perché e davvero mi dispiace perché ricordo con
affetto e nostalgia quella sensazione piacevole che provavo da bambino ed
invidio profondamente le droghe di mia sorella, ma non ce la faccio il Natale
mi sta sulle palle (sempre non quelle dell’albero), mi sento un fottuto Grinch.
Forse perché inizia sempre prima, forse perché lavorando non si sente più quel
distacco che c’era quando chiudevano le scuole, forse perché quel ciccione
bastardo vestito di rosso adesso addebita tutti i regali sulla mia carta di
credito e non su quella dei miei genitori come faceva quando ero piccolo. Cazzo
quanto è brutto quando per risolvere un problema servirebbe un adulto ma
quell’adulto sei te.
Per fortuna ad aiutarmi a superare tutto questo c’è la
famiglia, o meglio “a famigghia”. Perché se in tutte le case il Natale parte
con i preparativi dall’8 dicembre e con le mangiate dal 25 dicembre a pranzo
con ben 15 invitati… da me no. Il menù lo fissiamo il secondo o il terzo fine
di novembre in concomitanza con alcuni compleanni. Ci troviamo a casa dei miei
ed un ristretto comitato di 20/25 persone inizia a discutere con la pacatezza e
la calma di una riunione di condominio quando va rifatta la facciata.
Ovviamente non è possibile arrivare ad un accordo, il menù è
un’accozzaglia di roba che non sta granché insieme perché i gusti sono diversi
e l’effetto non è sgradevole ma straniante, come mettere il caviale sulla
polenta con i rognoni. Per fortuna dei vol au vent di plastica immangiabili,
che nessuno ha mai nominato e nessuno sa chi li ha portati, non mancano mai per
la somma gioia di mio cognato.
Mangiamo in un pasto una quantità di cibo che sfamerebbe un
villaggio africano, ogni anno ci diciamo che per l’anno prossimo staremo più
attenti e che faremo meno roba, infatti l’anno successivo il villaggio lo
sfamiamo con i soli avanzi. Ma tutto questo per fortuna non accade il 25 a
pranzo, bensì il 24 a cena; questo capita non perché siamo di origini
meridionali, ma proprio perché siamo terroni. Ovviamente non è festa e non è
vigilia se non ci sono i parenti, non tuti sia chiaro, non ci entreremmo in una
sola casa, per cui ci sono solo quelli “stretti” e che sono anche vicini
geograficamente, è per questo che ci ritroviamo “solo” in 42 alla cena.
QUARANTADUE e non è un numero detto a caso per sembrare grande, è proprio il
numero effettivo, sempre se ho contato bene tutti i bimbi dato che ogni anno ne
spunta almeno uno nuovo.
Se non erro l’anno scorso è stato il primo negli ultimi 15
anni in cui non ci fosse qualcuna incinta, era successo anche una volta tipo 5
anni fa ma l’anno dopo per vendetta si sono presentate incinta ben due cugine.
Quando mia mamma prima della cena si è alzata per dire la preghiera per un
attimo ho temuto che ci dicesse che era lei ad aspettare un figlio. Quando
eravamo piccoli eravamo decisamente meno per cui bastavano 2 tavoli, uno dei
grandi e l’altro dei piccoli, ora ne abbiamo bisogno di quattro, uno dei
bambini, uno dei giovani, uno degli uomini ed uno delle donne… sì lo so detta
così sembra una cosa decisamente imbarazzante ma in realtà… lo è.
Quando le persone guardano il film “il mio grosso grasso
matrimonio greco” ridono per l’esagerazione di situazioni ed eventi, io piango
perché mi sembra di rivedere il filmino del Natale precedente.
Comunque sia dopo venticinque
portate e 30 bottiglie di vino bevute (25 da mio cugino e 5 da tutti gli altri)
tutti sono distrutti e provati, la plastica dei vol au vent ci cola da ogni
orifizio e tutti speriamo che questa giornata di passione giunga alla fine, ad
un certo punto quello che è più provato di tutti si arrende, in genere sono io,
si alza e urla:
“mi è sembrato di vedere una
lucina” guardando verso una finestra.
È il segnale, 25 bambini dai 2 ai
27 anni si asserragliano in una camera nell’attesa che arrivi Babbo Natale,
questo è il momento in cui sistemiamo la sala, portiamo i regali e asciughiamo
le orecchie dal sangue per il sospirato silenzio, ogni anno questa parte della
serata la facciamo durare di più, penso che entro due o tre anni la faremo arrivare
alle 9:00 della mattina del giorno dopo. Comunque sia vengono riversati in sala
i regali di tutti:
“eh quest’anno c’è crisi” motivo
per cui i regali occupano solo settordici metri cubi al contrario dei millemila
dell’anno prima.
Suona un campanello, i bimbi
escono dalla camera e si riversano in sala, ne arrivano la metà, l’altra metà
la recuperiamo nel corridoio spiattellata contro qualche mobile o spigolo, ed
entrati guardano tutti quei regali con degli occhi lucidi ed emozionati, per
loro la magia c’è ancora ed è quello il momento in cui anche io alla fine un
po’ sento la gioia del Natale. Non dopo quando aprono i regali che magari sono
contenti o magari no, ma in cui la felicità è già un po’ più scontata, è
proprio quando entrano in sala il momento dove la magia c’è ancora.
Il Natale passa, c’è un po’ di
malinconia per chi non è più con noi a festeggiarlo e soprattutto a me rimane
un peso sul cuore, un peso per quell’unico regalo che ho sempre chiesto ad ogni
Natale, ad ogni stella cadente, ad ogni candelina soffiata per tutti gli anni
della mia vita, lo stesso regalo che presumo abbia sempre chiesto anche mia
sorella, e che ormai è troppo tardi per riceverlo.