LA MIA AFRICA
“Sei pronto? È arrivato Francesco a prenderci”.
“Sì Marco ci sono, ma siamo sicuri di questa cosa?”
“Boh che devo dirti, non mi pare ci sia molta scelta”.
“Beh potevamo pagare di più ma andare in aereo”.
Invece no, l’aereo Bujumbura Kigali costava troppo così
avevamo deciso di affrontare il viaggio con il pulmino.
“In pulmino? Ma siete pazzi!” ci aveva chiesto un altro
amico burundese.
“Pe… perché? È pericoloso?”
“Beh ci sono un sacco di banditi lungo la strada” concluse.
Se normalmente l’idea di banditi che assaltano un pulmino mi
può spaventare, l’idea di essere dentro quel pulmino ed essere uno dei soli 4
bianchi al suo interno mi terrorizzava letteralmente. Però ormai era deciso,
avevamo messo ai voti e aveva vinto il pulmino. Sinceramente tra un volo da 150
dollari e un pulmino da 30 con rischio banditi come cazzo fece a vincere il
pulmino è una cosa che ad anni di distanza ancora mi chiedo.
“Dai però, pensa al lato positivo” mi disse Marco “una volta
in Rwanda non sarò più perseguibile per la valigia e il suo contenuto”.
Già, la ricordate la famosa valigia persa che era stata data
in mano a Marco e di cui ignoravamo mittente, destinatario e contenuto? Beh non
era ancora saltata fuori. Eravamo tornati all’aeroporto ma non c’erano novità,
gli energumeni che la cercavano non si erano fatti vivi e noi cercavamo di non
farci troppe domande di cui non conoscevamo e non avremmo mai voluto conoscere
la risposta. Speravamo solo che una volta in Rwanda nessuno avrebbe mai più
affrontato la faccenda.
Il viaggio in pulmino iniziò di mattina presto. Caricammo i
bagagli e salimmo sopra. Era uno di questi mini-bus da 15/20 persone, 4 bianchi
e tutti gli altri neri, stipati come sardine. Ad onor del vero devo ammettere
che non arrivarono banditi. Tranne uno. L’autista.
Ho spiegato all’inizio che in Burundi non ci sono quasi
strade asfaltate e agli incroci passa chi suona più forte il clacson. Ecco al
nostro autista dovevano aver detto che aveva il clacson più potente di tutta
l’Africa perché partì a tavoletta senza fermarsi a nessun incrocio suonando di
continuo. Usciti dalla città sperai che la parte rischiosa fosse finita, mi
sbagliavo. Il Rwanda lo chiamano la Svizzera dell’Africa perché è quasi tutto
montuoso per cui per raggiungerne la capitale iniziammo a salire di quota.
Ora immaginatevi un pulmino strapieno che percorre a tutta
velocità una strada di montagna, senza guardrail, asfaltata male e con buche
enormi disseminate ovunque. Pregai che dei briganti ci fermassero. Ovviamente
anche l’autista era obbligato a rallentare ogni tanto e questo accadeva in
concomitanza del raggiungere dei camion che salivano. Lungo questa strada
infatti c’era anche un gran via vai di camion che in salita erano decisamente
lenti sia per le dimensioni sia perché dietro ogni camion c’erano almeno 4
ragazzi in bicicletta attaccati che si facevano portare su. Questo perché lungo
tutta quella strada c’è tantissima argilla e usano quelle zone per fare i
mattoni.
In pratica prendono l’argilla, ne fanno dei mattoni che
cuociono lì, poi caricano le biciclette con quantitativi assurdi di questi
mattoni e i ragazzetti si lanciano giù per i tornanti carichi come ciuchi su
biciclette senza freni (i freni sono inutili, una bici carica in quel modo di
mattoni ha un’inerzia tale che probabilmente nemmeno i freni di un treno
riuscirebbero a fermarla) per cui devono riuscire a raggiungere la pianura
senza mai uscire di strada. Ovviamente ogni tanto c’è qualcuno che addirizza un
tornante, in quel caso vanno lì, recuperano i mattoni ancora buoni, danno una
sistemata alla bici e “assumono” un nuovo ragazzetto. Non credo esistano
pensionati di questa categoria di lavoratori.
Comunque sia il viaggio procedeva, il pulmino sorpassava
camion, schivava buche e biciclette e affrontava le curve in maniera
decisamente sportiva. Non tutti gradivano tale sballottamento per cui qualcuno
chiese se poteva accostare per evitare di fare del gran danno all’interno.
L’autista inchiodò, guardò malissimo i passeggeri che con questa richiesta gli
rovinavano il record e mandò a calci un ragazzetto fuori dal pulmino che tornò
con alcuni sacchetti di plastica. L’autista li prese, li lanciò indietro verso
i passeggeri e partì sgommando. Tutto questo rendeva la situazione ancora più
piacevole.
In cima alla salita ci fermammo davanti a un baracchino che
faceva gli spiedini per pranzo.
“Francesco ma secondo te possiamo mangiarli anche noi?”
chiesi.
“Se vuoi avere la diarrea per i prossimi 2 mesi…” Marco si
lanciò fuori per avere la sua razione, non era ancora riuscito a sbloccarsi,
Francesco lo placcò “…più un’altra serie di malattie sconosciute, serviti
pure”. Anche Marco desistette.
Mangiammo i nostri tristi ma salutari panini.
Arrivammo alla dogana tra il Burundi e il Rwanda.
“Ahahah ma guarda tutte queste persone accalcate al
finestrino che vendono buste di carta” disse Marco “che cosa assurda, chi vuole
comprare delle buste di carta?”
“Tutti, la plastica è proibita in Rwanda” risposero con
serenità i novelli sposi.
“Come la plastica è proibita in Rwanda?” chiesi stupito.
“Sì, in pratica non vengono vendute né ci puoi introdurre
buste o altro di plastica”.
“Ok, ma se io in valigia ho la roba nei sacchetti di
plastica non mi dicono mica nulla vero?”
“No, no non puoi portarle”.
“Ma c’è una multa o una pena?”
“Questo non me lo ricordo”.
“Ma porca troia!” sbottai “e quando pensavate di dircelo?
Possibile che la facciamo franca con una valigia misteriosa e poi ci facciamo
arrestare per delle buste di plastica?” Sfido chiunque ad avere una valigia per
2 settimane di viaggio che non contenga almeno una dozzina di buste di
plastica.
Vi do un consiglio, quando fate un viaggio in un paese senza
estradizione controllate tutte le leggi che hanno, anche quelle che vi possono
sembrare più stupide.
La dogana tra Burundi e Rwanda non è come quella tra l’Italia
e la Francia per dire, o con la Svizzera che è comunque più controllata. In
Burundi scendi alla dogana burundese, fai vedere il passaporto a un addetto che
speri non ti chieda nulla specialmente a proposito di bagagli persi. Poi scendi
lungo una stradina, attraversi un ponte e risali per un'altra stradina dove
trovi la dogana del Rwanda dove speri che l’addetto non ti faccia domande su
niente. Tutto questo a piedi perché il pulmino va avanti da sé.
“Ok dogana passata, si può salire sul pulmino vero? Mica lo
controlleranno tutto” esclamiamo mentre gli addetti alla dogana si avviano
verso il mezzo.
“Ok ma mica scaricheranno tutte le valigie” il pulmino viene
completamente svuotato.
“Sì vabbè ma non apriranno di certo le singole valige” la
valigia di Marie Claire e del fidanzato di Marie Claire (vi giuro si chiama
così) viene aperta e vengono notate le 400 buste di plastica al suo interno.
Merda.
Gliele fanno togliere tutte mescolando roba pulita e sporca.
“Il primo che parla di perquisizioni corporali lo mangio”.
“Marco se aprono la mia e tolgono la roba dalle buste mi
arrestano per attentato batteriologico”.
“Già ma che possiamo farci? Le stanno aprendo tutte”.
“Razzismo Marco, razzismo” fu un lampo di genio “seguimi e
fai quello che faccio io”.
“Sei sicuro?”
“Sì, anche loro sono razzisti”.
Mi avvicinai con passo sicuro al pulmino, agguantai la mia
valigia e guardando negli occhi quello della dogana dissi con tranquillità in
Italiano “posso metterla dentro vero?” e feci il gesto di caricarla nel
bagagliaio. L’agente della dogana mi guardò e fece cenno di sì con il capo,
Marco rifece esattamente la stessa cosa e salimmo a sedere. Le nostre valigie
furono le uniche due non aperte. Essere bianchi aveva premiato.