lunedì 27 marzo 2017

La mia Africa 8

LA MIA AFRICA

“Sei pronto? È arrivato Francesco a prenderci”.
“Sì Marco ci sono, ma siamo sicuri di questa cosa?”
“Boh che devo dirti, non mi pare ci sia molta scelta”.
“Beh potevamo pagare di più ma andare in aereo”.
Invece no, l’aereo Bujumbura Kigali costava troppo così avevamo deciso di affrontare il viaggio con il pulmino.
“In pulmino? Ma siete pazzi!” ci aveva chiesto un altro amico burundese.
“Pe… perché? È pericoloso?”
“Beh ci sono un sacco di banditi lungo la strada” concluse.
Se normalmente l’idea di banditi che assaltano un pulmino mi può spaventare, l’idea di essere dentro quel pulmino ed essere uno dei soli 4 bianchi al suo interno mi terrorizzava letteralmente. Però ormai era deciso, avevamo messo ai voti e aveva vinto il pulmino. Sinceramente tra un volo da 150 dollari e un pulmino da 30 con rischio banditi come cazzo fece a vincere il pulmino è una cosa che ad anni di distanza ancora mi chiedo.
“Dai però, pensa al lato positivo” mi disse Marco “una volta in Rwanda non sarò più perseguibile per la valigia e il suo contenuto”.
Già, la ricordate la famosa valigia persa che era stata data in mano a Marco e di cui ignoravamo mittente, destinatario e contenuto? Beh non era ancora saltata fuori. Eravamo tornati all’aeroporto ma non c’erano novità, gli energumeni che la cercavano non si erano fatti vivi e noi cercavamo di non farci troppe domande di cui non conoscevamo e non avremmo mai voluto conoscere la risposta. Speravamo solo che una volta in Rwanda nessuno avrebbe mai più affrontato la faccenda.
Il viaggio in pulmino iniziò di mattina presto. Caricammo i bagagli e salimmo sopra. Era uno di questi mini-bus da 15/20 persone, 4 bianchi e tutti gli altri neri, stipati come sardine. Ad onor del vero devo ammettere che non arrivarono banditi. Tranne uno. L’autista.
Ho spiegato all’inizio che in Burundi non ci sono quasi strade asfaltate e agli incroci passa chi suona più forte il clacson. Ecco al nostro autista dovevano aver detto che aveva il clacson più potente di tutta l’Africa perché partì a tavoletta senza fermarsi a nessun incrocio suonando di continuo. Usciti dalla città sperai che la parte rischiosa fosse finita, mi sbagliavo. Il Rwanda lo chiamano la Svizzera dell’Africa perché è quasi tutto montuoso per cui per raggiungerne la capitale iniziammo a salire di quota.
Ora immaginatevi un pulmino strapieno che percorre a tutta velocità una strada di montagna, senza guardrail, asfaltata male e con buche enormi disseminate ovunque. Pregai che dei briganti ci fermassero. Ovviamente anche l’autista era obbligato a rallentare ogni tanto e questo accadeva in concomitanza del raggiungere dei camion che salivano. Lungo questa strada infatti c’era anche un gran via vai di camion che in salita erano decisamente lenti sia per le dimensioni sia perché dietro ogni camion c’erano almeno 4 ragazzi in bicicletta attaccati che si facevano portare su. Questo perché lungo tutta quella strada c’è tantissima argilla e usano quelle zone per fare i mattoni.
In pratica prendono l’argilla, ne fanno dei mattoni che cuociono lì, poi caricano le biciclette con quantitativi assurdi di questi mattoni e i ragazzetti si lanciano giù per i tornanti carichi come ciuchi su biciclette senza freni (i freni sono inutili, una bici carica in quel modo di mattoni ha un’inerzia tale che probabilmente nemmeno i freni di un treno riuscirebbero a fermarla) per cui devono riuscire a raggiungere la pianura senza mai uscire di strada. Ovviamente ogni tanto c’è qualcuno che addirizza un tornante, in quel caso vanno lì, recuperano i mattoni ancora buoni, danno una sistemata alla bici e “assumono” un nuovo ragazzetto. Non credo esistano pensionati di questa categoria di lavoratori.
Comunque sia il viaggio procedeva, il pulmino sorpassava camion, schivava buche e biciclette e affrontava le curve in maniera decisamente sportiva. Non tutti gradivano tale sballottamento per cui qualcuno chiese se poteva accostare per evitare di fare del gran danno all’interno. L’autista inchiodò, guardò malissimo i passeggeri che con questa richiesta gli rovinavano il record e mandò a calci un ragazzetto fuori dal pulmino che tornò con alcuni sacchetti di plastica. L’autista li prese, li lanciò indietro verso i passeggeri e partì sgommando. Tutto questo rendeva la situazione ancora più piacevole.
In cima alla salita ci fermammo davanti a un baracchino che faceva gli spiedini per pranzo.
“Francesco ma secondo te possiamo mangiarli anche noi?” chiesi.
“Se vuoi avere la diarrea per i prossimi 2 mesi…” Marco si lanciò fuori per avere la sua razione, non era ancora riuscito a sbloccarsi, Francesco lo placcò “…più un’altra serie di malattie sconosciute, serviti pure”. Anche Marco desistette.
Mangiammo i nostri tristi ma salutari panini.
Arrivammo alla dogana tra il Burundi e il Rwanda.
“Ahahah ma guarda tutte queste persone accalcate al finestrino che vendono buste di carta” disse Marco “che cosa assurda, chi vuole comprare delle buste di carta?”
“Tutti, la plastica è proibita in Rwanda” risposero con serenità i novelli sposi.
“Come la plastica è proibita in Rwanda?” chiesi stupito.
“Sì, in pratica non vengono vendute né ci puoi introdurre buste o altro di plastica”.
“Ok, ma se io in valigia ho la roba nei sacchetti di plastica non mi dicono mica nulla vero?”
“No, no non puoi portarle”.
“Ma c’è una multa o una pena?”
“Questo non me lo ricordo”.
“Ma porca troia!” sbottai “e quando pensavate di dircelo? Possibile che la facciamo franca con una valigia misteriosa e poi ci facciamo arrestare per delle buste di plastica?” Sfido chiunque ad avere una valigia per 2 settimane di viaggio che non contenga almeno una dozzina di buste di plastica.
Vi do un consiglio, quando fate un viaggio in un paese senza estradizione controllate tutte le leggi che hanno, anche quelle che vi possono sembrare più stupide.
La dogana tra Burundi e Rwanda non è come quella tra l’Italia e la Francia per dire, o con la Svizzera che è comunque più controllata. In Burundi scendi alla dogana burundese, fai vedere il passaporto a un addetto che speri non ti chieda nulla specialmente a proposito di bagagli persi. Poi scendi lungo una stradina, attraversi un ponte e risali per un'altra stradina dove trovi la dogana del Rwanda dove speri che l’addetto non ti faccia domande su niente. Tutto questo a piedi perché il pulmino va avanti da sé.
“Ok dogana passata, si può salire sul pulmino vero? Mica lo controlleranno tutto” esclamiamo mentre gli addetti alla dogana si avviano verso il mezzo.
“Ok ma mica scaricheranno tutte le valigie” il pulmino viene completamente svuotato.
“Sì vabbè ma non apriranno di certo le singole valige” la valigia di Marie Claire e del fidanzato di Marie Claire (vi giuro si chiama così) viene aperta e vengono notate le 400 buste di plastica al suo interno. Merda.
Gliele fanno togliere tutte mescolando roba pulita e sporca.
“Il primo che parla di perquisizioni corporali lo mangio”.
“Marco se aprono la mia e tolgono la roba dalle buste mi arrestano per attentato batteriologico”.
“Già ma che possiamo farci? Le stanno aprendo tutte”.
“Razzismo Marco, razzismo” fu un lampo di genio “seguimi e fai quello che faccio io”.
“Sei sicuro?”
“Sì, anche loro sono razzisti”.
Mi avvicinai con passo sicuro al pulmino, agguantai la mia valigia e guardando negli occhi quello della dogana dissi con tranquillità in Italiano “posso metterla dentro vero?” e feci il gesto di caricarla nel bagagliaio. L’agente della dogana mi guardò e fece cenno di sì con il capo, Marco rifece esattamente la stessa cosa e salimmo a sedere. Le nostre valigie furono le uniche due non aperte. Essere bianchi aveva premiato.