LA MIA AFRICA
È di nuovo mattina. Mattina… sarà almeno mezzogiorno e
contando che siamo andati a letto alle 4 non abbiamo dormito granché. Però
dobbiamo alzarci e prepararci perché a breve verranno a prenderci per andare a
casa di Francesco dove faremo i brindisi. Mi sento male all’idea.
Ci facciamo le docce, per fortuna il Burundi essendo
attaccato al lago Tanganica pesca la sua acqua dal centro del lago ed è
relativamente pulita. Non la puoi bere ed anche per lavarsi i denti usiamo
quella in bottiglia, ma per lavarsi addosso va benissimo. Dio solo sa quanto
abbiamo bisogno di una doccia, tra sudore, alcool e quintali di antizanzare
sembriamo ricoperti di ceralacca.
Ci vestiamo e arrivano a prenderci, a casa si mangia, si
ride e ci si confronta sulla situazione intestinale dettata anche dalla
profilassi per la malaria. Io vado serenamente in diarrea tutti i giorni mentre
Marco non va proprio da oltre 3 giorni. È assolutamente convinto che sia una
reazione del suo organismo che sapendo di essere in Africa pensa di trattenere
tutto all’interno per paura della denutrizione. Forse ha ragione ma i suoi
occhi mi sembrano più marroni del solito.
Inizia la festa, arrivano le persone. In Burundi non sono
appiccicosi, le persone non ti stanno addosso e non ti toccano mentre parlano
ma hanno un’altra curiosa particolarità, ti danno la mano per salutarti e poi
la tengono. Avevo già notato per strada uomini, anche militari che mitra in una
mano si davano l’altra camminando. Mi aveva fatto una certa impressione:
“Christian ci sono un sacco di gay in Burundi” avevo detto a
un nostro amico.
“No. In Burundi non esistono gay” sì certo mi immagino, rido
tra me.
“Ma scusa e quei due uomini che si tengono per mano?”
“Sono amici”.
“Sì ok, ma particolari”.
“No, no solo amici”.
Ora è ovvio che non sia vero che non esistono gay in Burundi
ma era vero che quelli erano amici. Le persone che si conoscono o si incontrano
mantengono tra loro questo contatto.
Quando arriva lo zio di Francesco mi saluta mi prende la
mano e la tiene. La tiene per svariati minuti, cammina tenendomi per mano, mi
presenta tenendomi per mano e chiacchiera con altri tenendomi per mano. Non so
voi ma io dopo 10 minuti che questo marcantonio nero mi teneva per mano ero un
po’ imbarazzato, dovevo decidermi o fingevo di andare in bagno o lo baciavo.
Per fortuna vidi Marco e glielo presentai, lasciò così la mia mano prendendo la
sua.
Come avevo detto eravamo solo 4 bianchi in tutta la festa,
anche Francesco e le sue sorelle sono mulatte per cui un po’ “diversi”, ma noi
siamo proprio bianchi, io per giunta ho i capelli rossi, un bimbo corre intorno
alla casa mi guarda e scappa via ridendo. Tornano in due mi guardano e corrono
via. Al terzo giro si presentano in 7 o 8 e tutti a ridere. Facciamo le foto
assieme.
Lorenzo, il fratello di Francesco esce di casa vestito
elegante, il giardiniere lo guarda ed esclama:
“Mzungu” che significa “uomo bianco”, in pratica gli ha
detto che vestito in quel modo sembra un bianco, Lorenzo è un po’ risentito, la
vede quasi come un’offesa, rientra in casa e si mette una camicia bianca. Come
esce il giardiniere esclama:
“Mtu Kiarabu” (o mwuarabe non sono sicuro) che significa che
sembra un arabo, che è l’unica cosa che considerano “peggio” dei bianchi.
Lorenzo risponde con un fiorentino “mavaffanculo”.
Inizia la cerimonia dei brindisi con una specie di “lever le
voile”, in pratica non ci sono i genitori della sposa perché ormai non è più
parte della famiglia ma ci sono tutti gli altri parenti, entrano nella camera
dove hanno dormito la prima notte gli sposi che sono di nuovo vestiti da
cerimonia e benedicono la camera. Bevono del latte, ci sono dei bambini,
tagliano una ciocca di capelli, insomma tutta una serie di pratiche tra il
pagano e il religioso per augurare alla nuova coppia salute e fertilità.
Poi si va all’esterno in una tenda dove ricominciano i
brindisi. Altra gente si alza e promette regali che non farà mai e si beve.
Questa volta però sono più informali, ci sono amici che fanno battute, c’è uno
pagato apposta per intermezzare i brindisi con canti e cori goliardici. Mi
dicono che molte sono battute a doppio senso, in pratica è la versione
burundese delle canzoni fiorentine boccaccesche o di Marasco. Anche da bere
oltre alla birra normale c’è quella artigianale burundese alle banane. Vorrei
provarla ma l’hanno portata in delle taniche di benzina e anche l’odore è
simile, benzina e banane. Passo. Anche perché Francesco mi ha detto che può far
venire la diarrea e io non ne ho ulteriore bisogno. Marco sentito questo si
lancia e ne prende un bicchiere nella speranza che faccia effetto.
“Cazzo!”
“Non è buona Marco?”
“È come bere dell’alcool etilico in cui hanno fatto
sciogliere delle banane. Speriamo almeno faccia effetto”.
Si sta facendo tardi, gli ospiti rwandesi hanno il volo e
devono tornare a casa per cui il loro “rappresentante” che dovrebbe essere la
persona più anziana non essendoci il padre della sposa, si alza e parla.
“Che ha detto Fra?”
“Ha detto che hanno un altro matrimonio e che devono andare”
“Come un altro matrimonio? E chi si sposa?”
“Nessuno, non è vero”
“Come non è vero?”
“Sì vedi, se sei invitato a una festa non puoi andare via
perché stai perdendo il volo, sarebbe come mancare di rispetto a chi ti ha
invitato. Ma se hai un altro matrimonio puoi andartene per non mancare di
rispetto a loro”.
“Ok ma non è vero e tutti qui lo sanno no?”
“Certo tutti sanno che è per il volo, sia chi se ne va sia
chi resta, ma non va detto lo stesso”.
“HIIIIIIIIII!!!!” comincia ad urlare quello che intonava i
cori.
“E questo che fa?”
“Intona il pianto”
“Come intona il pianto?”
“Sì è un pianto finto per dire che ci dispiace che se ne
vadano”.
Tutto ciò è meraviglioso, i rwandesi fingono un matrimonio
per non dire che perdono l’aereo e i burundesi fingono di piangere perché sono
dispiaciuti. Sembra un antico funerale con le prefiche che piangono.
Inutile dire che divento il miglior piangitore della festa,
in meno di un minuto i miei “HIIII” risuonano nella tenda e ho davvero le
lacrime agli occhi anche se dal ridere.