L'operatore ecologico, il brutto male
e Barbie fotografa della scuola
“Eh è morto in un brutto incidente d’auto!”
Premesso che non mi vengono in mente incidenti d’auto belli
devo dire che se ci è morto la possibilità che fosse bello era esclusa a
priori. Eppure quasi tutti noi ci sentiamo in dovere di precisare le cose, di usare
aggettivi inutili e ridondanti per spiegare cose che spesso ci fanno paura o
che non sappiamo razionalizzare. “Un brutto male”, chi non ha un parente morto
per un brutto male. Che è un brutto male? Esistono mali belli? Tranne forse
quelli che colpiscono chi ci sta particolarmente sul culo. Non credo. Anche
perché alla fine il brutto male è quasi sempre un tumore. Ma cosa ci spaventa
della parola “tumore”? Il fatto che possa venire a chiunque, bambini compresi?
Il fatto che alla fine, nonostante tutti i progressi sia ancora una delle cause
maggiori di decessi? Non lo so, ma so che cambiare i nomi alle cose per
tranquillizzarci le coscienze o per allontanare le paure è un’operazione
inutile. Ha molto più senso chiamarle per quello che sono e affrontarle in
quanto tali. Non è un caso che alla fine ad usare il termine tumore o cancro
siano le stesse persone che lo affrontano o le associazioni che lo combattono,
sono al contrario i parenti, “gli altri” a dargli nomi diversi.
Questa cosa vale per tutto, vale per le malattie, vale per i
lavori che riteniamo di minor valore o vergognosi. È per questo che lo spazzino
diventa prima netturbino e poi operatore ecologico, anche se magari fa lo
stesso identico lavoro da 30 anni; il bidello diventa collaboratore scolastico;
il bandito diventa Senatore della Repubblica.
I ciechi diventano non vedenti, salvo poi scoprire che gli
stessi non vedenti hanno un’associazione che si chiama UIC che significa Unione
Italiana Ciechi. Ma se loro non hanno problemi a definirsi ciechi perché noi
abbiamo la necessità di definirli non vedenti?
Che poi questa ricerca di strane definizioni mi ha sempre
fatto ridere, mi fa tornare in mente la barzelletta dei vecchietti in fila alle
poste dove il primo chiede aiuto all’addetto dicendo che è cieco, così
l’addetto gentilmente spiega che ora si dice “video leso”, il secondo chiede di
parlare più forte perché è sordo e l’addetto spiega che ora si dice “audio
leso”. Allora due vecchini dal fondo si alzano e chiedono “ma quindi a noi che
non ci tira più l’uccello che siamo: tirolesi?”
Sentiamo il bisogno di sentirci politicamente corretti, ma
senza fare troppi sforzi reali, in questo modo i negri diventano neri ma sono
sempre immigrati che non vogliamo, i froci diventano gay o omosessuali ma senza
diritto di sposarsi o di avere figli.
Il top l’abbiamo raggiunto con gli handicappati. Ho avuto
una sorella handicappata e non ho mai avuto problemi a definire così la sua
condizione, non lo trovavo né umiliante né svilente perché conoscevo il significato
della parola. Nel tempo però gli handicappati sono diventati portatori di
handicap, poi sono diventati disabili e infine diversamente abili. La cosa
buffa è che mia sorella era rimasta sempre uguale e soprattutto le barriere
architettoniche sono rimaste più o meno le stesse. Sono ragionevolmente
convinto che tutti i diversamente abili del mondo sarebbero disposti ad
accettare di essere chiamati con qualsiasi nome se questo consentisse loro la
possibilità di vivere una vita dignitosa.
Se non sto totalmente rincoglionendo, e non mi sento di
escluderlo, ricordo ancora che qualche anno fa in un negozio di giocattoli
incappai in una “Barbie fotografa della scuola”. Era una barbie seduta su una
sedia a rotelle con la macchina fotografica in mano. Per certi versi era
un’idea carina, alla fine faceva capire che ciò che ci descrive è quello che
facciamo, come ci comportiamo e non le nostre abilità, il colore della nostra
pelle o le nostre preferenze sessuali. Subito dopo però, dato che viviamo dove
viviamo, a pennarello avrei voluto aggiungere sulla confezione “ma solo del
pian terreno perché nella scuola mancano gli ascensori e le rampe per le
scale”.