martedì 28 febbraio 2017

L'operatore ecologico, il brutto male e Barbie fotografa della scuola

L'operatore ecologico, il brutto male
 e Barbie fotografa della scuola


“Eh è morto in un brutto incidente d’auto!”
Premesso che non mi vengono in mente incidenti d’auto belli devo dire che se ci è morto la possibilità che fosse bello era esclusa a priori. Eppure quasi tutti noi ci sentiamo in dovere di precisare le cose, di usare aggettivi inutili e ridondanti per spiegare cose che spesso ci fanno paura o che non sappiamo razionalizzare. “Un brutto male”, chi non ha un parente morto per un brutto male. Che è un brutto male? Esistono mali belli? Tranne forse quelli che colpiscono chi ci sta particolarmente sul culo. Non credo. Anche perché alla fine il brutto male è quasi sempre un tumore. Ma cosa ci spaventa della parola “tumore”? Il fatto che possa venire a chiunque, bambini compresi? Il fatto che alla fine, nonostante tutti i progressi sia ancora una delle cause maggiori di decessi? Non lo so, ma so che cambiare i nomi alle cose per tranquillizzarci le coscienze o per allontanare le paure è un’operazione inutile. Ha molto più senso chiamarle per quello che sono e affrontarle in quanto tali. Non è un caso che alla fine ad usare il termine tumore o cancro siano le stesse persone che lo affrontano o le associazioni che lo combattono, sono al contrario i parenti, “gli altri” a dargli nomi diversi.
Questa cosa vale per tutto, vale per le malattie, vale per i lavori che riteniamo di minor valore o vergognosi. È per questo che lo spazzino diventa prima netturbino e poi operatore ecologico, anche se magari fa lo stesso identico lavoro da 30 anni; il bidello diventa collaboratore scolastico; il bandito diventa Senatore della Repubblica.
I ciechi diventano non vedenti, salvo poi scoprire che gli stessi non vedenti hanno un’associazione che si chiama UIC che significa Unione Italiana Ciechi. Ma se loro non hanno problemi a definirsi ciechi perché noi abbiamo la necessità di definirli non vedenti?
Che poi questa ricerca di strane definizioni mi ha sempre fatto ridere, mi fa tornare in mente la barzelletta dei vecchietti in fila alle poste dove il primo chiede aiuto all’addetto dicendo che è cieco, così l’addetto gentilmente spiega che ora si dice “video leso”, il secondo chiede di parlare più forte perché è sordo e l’addetto spiega che ora si dice “audio leso”. Allora due vecchini dal fondo si alzano e chiedono “ma quindi a noi che non ci tira più l’uccello che siamo: tirolesi?”
Sentiamo il bisogno di sentirci politicamente corretti, ma senza fare troppi sforzi reali, in questo modo i negri diventano neri ma sono sempre immigrati che non vogliamo, i froci diventano gay o omosessuali ma senza diritto di sposarsi o di avere figli.
Il top l’abbiamo raggiunto con gli handicappati. Ho avuto una sorella handicappata e non ho mai avuto problemi a definire così la sua condizione, non lo trovavo né umiliante né svilente perché conoscevo il significato della parola. Nel tempo però gli handicappati sono diventati portatori di handicap, poi sono diventati disabili e infine diversamente abili. La cosa buffa è che mia sorella era rimasta sempre uguale e soprattutto le barriere architettoniche sono rimaste più o meno le stesse. Sono ragionevolmente convinto che tutti i diversamente abili del mondo sarebbero disposti ad accettare di essere chiamati con qualsiasi nome se questo consentisse loro la possibilità di vivere una vita dignitosa.

Se non sto totalmente rincoglionendo, e non mi sento di escluderlo, ricordo ancora che qualche anno fa in un negozio di giocattoli incappai in una “Barbie fotografa della scuola”. Era una barbie seduta su una sedia a rotelle con la macchina fotografica in mano. Per certi versi era un’idea carina, alla fine faceva capire che ciò che ci descrive è quello che facciamo, come ci comportiamo e non le nostre abilità, il colore della nostra pelle o le nostre preferenze sessuali. Subito dopo però, dato che viviamo dove viviamo, a pennarello avrei voluto aggiungere sulla confezione “ma solo del pian terreno perché nella scuola mancano gli ascensori e le rampe per le scale”.

lunedì 13 febbraio 2017

La Mia Africa 7

LA MIA AFRICA

Interrompo brevemente il racconto del viaggio per un approfondimento necessario. Il razzismo.
Il razzismo e l’odio razziale sono un problema che devasta l’Africa come del resto tutto il mondo. I giapponesi odiano i cinesi, i cinesi odiano i giapponesi, gli indiani i pakistani, i pakistani gli indiani ma questo vale anche all’interno delle singole nazioni, basti pensare a l’Italia, quelli del nord hanno sempre detestato i meridionali, salvo poi preferirli anche se di poco ad albanesi, slavi e immigrati vari. Anche nella sola Toscana pisani e livornesi si odiano, addirittura a Montecatini alta stanno sul cazzo quelli di Montecatini bassa. In Africa è uguale e soprattutto in Burundi e Rwanda sono i Tutsi e gli Hutu a odiarsi e negli anni hanno dato corso a guerre e stragi sanguinose. Ovviamente non ho intenzione di analizzare il perché di questo odio antico e persistente e men che meno mi metterò ad addossare le colpe, anche perché probabilmente, come in ogni conflitto, ce ne sono da entrambe le parti. Però è un dato di fatto che si odiano e lo stesso provano nei confronti dei bianchi o degli arabi. Probabilmente è anche dovuto a secoli di sfruttamento e soprusi subiti. Comunque sia noi bianchi eravamo sempre visti con curiosità o quanto meno sospetto ovunque andassimo, la cosa curiosa però è che sapevano che rispetto alla media della popolazione eravamo da considerarsi ricchi per cui spesso venivamo trattati meglio degli altri neri.
Ebbi evidenza di questa cosa la prima volta che andammo in un minimarket. In realtà era una stanza con degli scaffali e dei prodotti di importazione, c’erano biscotti, pasta, acqua, latte. Feci la spesa e mi diressi alla cassa, pagai e la commessa prese i soldi per darmi il resto. Guardò la banconota leggermente sgualcita che aveva in mano, fece una faccia strana e la rimise in cassa, alzò il portamonete ed estrasse una banconota nuova di pacca e me la consegnò.
“Vedi? Ha cercato una banconota pulita da darti” mi disse Francesco.
“E perché?”
“Perché se te l’avesse data rovinata magari te non ci saresti tornato a comprare altre cose, se invece avessi pagato io se ne fregava e mi dava lo stesso la banconota sporca”.
In pratica mi trattavano meglio perché ero bianco. La cosa veramente curiosa è che invece da altre parti il comportamento era esattamente l’opposto. Una sera andammo in un locale a ballare, mentre parcheggiavamo la macchina eravamo stati circondati da una decina di ragazzetti e Francesco disse:
“Ce li avete degli spiccioli da dargli per il parcheggio?”
“In che senso per il parcheggio? Lo abbiamo trovato da soli e non è un parcheggio custodito” risposi.
“Hai ragione” replicò Gaia “però una settimana fa uno che non ha voluto pagare lo hanno stuprato a morte” ora non so voi ma se già l’idea di stupro e di morte separatamente mi terrorizzavano le due cose congiunte mi convinsero immediatamente
“Tranquilli li ho io i soldi. Pago io” conclusi.
“Va bene ma non dargli troppo” continuò Francesco.
“Gli do questi” mostrai la mano, erano il corrispettivo di un paio di euro.
“Macché sono troppi, questo è il massimo” e mi mise in mano la cifra da dargli. Erano tipo 30 centesimi.
“Non sarà un poco? Non è che poi mi stuprano a ferirmi abbastanza anche se non a morte?”
“No, no. Va bene se gli dai troppi soldi poi non hanno interesse a lavorare e anche quelli che lavorano preferirebbero venir qua a chiedere soldi anziché lavorare”
Cazzo anche in Burundi c’erano i contratti di categoria e gli studi di settore?
Comunque entrammo nel locale e ci mettemmo a ballare, andammo a prendere un paio di birre per un totale di 2 euro, pagai e di resto mi diede una banconota talmente sporca che se l’avessi toccata avrei preso una dozzina di malattie conosciute ed almeno un paio sconosciute. Calcolai che corrispondevano a circa 2 centesimi per cui decisi di lasciarli di mancia.
“Hai visto?” mi disse Francesco “è successa la stessa cosa del minimarket ma al contrario, se avessi preso le birre io mi avrebbe dato di resto una banconota normale perché tanto sanno che un negro riprende qualsiasi resto, invece a te hanno dato la banconota più sporca perché sanno che preferisci lasciarla di mancia che toccarla”.

Che mondo strano pensai, per fortuna feci memoria di quell’episodio per utilizzarlo a mio vantaggio due giorni dopo alla dogana con il Rwanda.

martedì 7 febbraio 2017

La patata e il broccolo

LA PATATA E IL BROCCOLO


“Ti dispiace se parliamo e facciamo finta di conoscerci?”
Era una ragazza decisamente carina, erano le 10:00 la sera ed eravamo in una stazione della metropolitana di Milano.
“C’è un tizio strano che mi segue e ho un po’ paura”.
All’epoca avevo 28 anni, capelli corti, barba fatta e andavo a lavoro in giacca e cravatta per cui potevo sembrare una persona affidabile, mi succedesse oggi la ragazza andrebbe dal tipo strano dicendogli che le faccio paura. Comunque fosse.
“Sì certo nessun problema figurati”
Iniziammo a parlare del più e del meno, oltre a essere carina era anche simpatica.
“Ma sei toscano? Adoro il dialetto toscano”.
“Non esiste il dialetto toscano rincoglionita. In toscana parliamo tutti in maniera diversa. Confondere un grossetano con un fiorentino è un’offesa e farlo con un pisano e un livornese può far volare le coltellate” esclamai sferrandole una violenta testata sul naso. Ovviamente tutta questa parte si svolse nella mia mente, nella realtà finsi un sorriso e mi limitai ad una risposta del tipo:
“ahaha mi fa piacere. Se vuoi ti dico qualche frase tipica del mio dialetto”.
Salimmo sul treno e l’accompagnai fin dove potevo. Me lo avesse chiesto l’avrei accompagnata fino all’ultima fermata della linea verde, ed eravamo sulla rossa. Ci salutammo senza scambiarci i numeri di telefono con lei che mi diceva:
“Dai speriamo di rivederci presto”.
“Speriamo”.


Stavo dormendo in metropolitana, il mio corpo intuiva dalle frenate in quale stazione eravamo. Ormai conoscevo tutte le fermate della metro, in particolare tutte quelle tra “Milano fiera” e “Bisceglie”. In effetti erano l’unica cosa che conoscevo di Milano oltre a l’appartamento dove dormivo e gli uffici dove lavoravo.
Mi girai e vidi che la ragazza seduta accanto a me stava leggendo un libro che avevo letto.
“Ah, forte l’ho letto”.
“Davvero? E che te ne pare” mi chiese.
La guardai negli occhi. Valutare le ragazze per il loro aspetto fisico è una cosa vergognosa e sbagliata ma lei era davvero una delle ragazze più brutte che avessi mai visto. Fortunatamente ad un aspetto non particolarmente gradevole si sposava un carattere noioso e pesante. Mi attaccò un bottone infinito su una serie di argomenti inutili e noiosi. Chi mi conosce sa che è quasi impossibile essere più chiacchierone e noioso di me. Beh lei ci riusciva.
“Ah ma sei toscano? Adoro il dialetto toscano”
“Il dialetto toscano non esiste. Parliamo tutti differentemente e paragonarci è offensivo”.
Mi alzai ed uscii dalla metropolitana anche se non era la mia stazione con lei che mi diceva:
“Dai speriamo di rivederci” ed io che mi sfregavo potentemente i coglioni.

A questo punto, secondo voi, quale è la ragazza che ho rincontrato almeno 5 volte su quel maledettissimo vagone della metropolitana nell’anno in cui ho vissuto a Milano?


Esatto!