martedì 27 settembre 2016

La Mia Africa cap 2

LA MIA AFRICA

Wrommm.
Atterrammo all’aeroporto di Bujumbura. Oddio aeroporto era un termine un po’ forte. C’era questa striscia asfaltata, solo dopo avrei scoperto che era l’unica rimasta in tutto il Burundi e una casupola con sopra l’ironica scritta “TERMINAL”. Davanti c’era parcheggiato un parallelepipedo di metallo arrugginito che mi dissero essere l’ultimo aereo rimasto della compagnia di bandiera, probabilmente non volava da qualche migliaio di anni.

Comunque sia andammo alla dogana per mettere il timbro al passaporto e subito ci fu prospettata l’ipotesi di fare sesso… anale… passivo. Marco disse:
“pago io poi facciamo i conti”
Io “va bene”
Marco “quanto viene il bollo?”
Agente alla dogana “40 dollari a testa”
Marco “ho solo euro”
Agente “allora 40 euro a testa” ecco il cambio euro dollaro era 1,35 questo vuol dire che il cambio 1 a 1 che ci proponeva ci stava penalizzando del 35%, un vero affare
Marco “ecco sono 100 euro”
Agente “e questo è il resto” dandogli 20 dollari di resto. Perfetto ci avevano appena fregato il 35% anche sul resto.
Sentii un leggero bruciore dietro e non erano i postumi della scarica avuta in aereo. Il meglio per fortuna doveva arrivare, il ritiro delle valigie. Arrivarono tutte, perfette, in ottimo stato, ooops ne manca una, io le ho tutte, anche io, a chi manca… cazzo la valigia misteriosa affidata a Marco non c’era. Di tutte le valige che avevamo portato era andata smarrita l’unica di cui ignoravamo il contenuto.
“ci può descrivere la valigia e il contenuto?” Marco finse un colpo apoplettico nella speranza di soccorsi. Mentre si rotolava in terra senza che nessuno lo soccorresse quelli che riuscivano a parlare la lingua del signore alla dogana spiegarono qualcosa. Ovviamente non capimmo niente ma si limitarono a prendere le generalità di Marco e gli dissero di ripassare qualche giorno dopo. All’uscita ripetemmo la solita recita con i due energumeni che erano amici del cugino di uno che aveva conosciuto un invitato al matrimonio, insomma due perfetti sconosciuti che volevano la valigia indietro. Anche loro presero i dati di Marco.

“lo sapevo, lo sapevo che non dovevo prendere quella valigia ed ora come cazzo faccio?” fu il mantra per le due settimane successive che Marco ripeteva a intervalli regolari.

Da qua in poi i miei ricordi si fanno confusi, più o meno ricordo quasi tutto quello che abbiamo fatto ma non sono certo dell’ordine con cui certi eventi sono capitati. Un po’ per via del fatto che sono passati 9 anni, forse 10 o 8, non so, credo che solo la sposa lo sappia, lo sposo ricorda vagamente il decennio, un po’ perché in Africa l’acqua è il maggior veicolo di malattie dopo le zanzare. Ora questa cosa sembra decisamente scollegata alla perdita di memoria ma dopo due settimane in cui non bevi una sola goccia d’acqua ma ogni singolo pasto lo accompagni con una birra Prius da 1 litro, le cose appaiono decisamente interconnesse. In pratica ho passato due settimane in uno stato intermedio tra l’allegro e il coma etilico.

Arrivammo nelle case prese in affitto per noi, carucce, giardino, ingresso singolo, cancello e muri con filo spinato, guardie armate ovunque. Il tragitto fu appena movimentato, come dicevo l’unico lembo di asfalto era la pista dell’aeroporto, il resto era tutto sterrato, buche, pezzi di asfalto rimasti. Non c’è un singolo semaforo in tutto il Burundi. Francesco mi raccontava che un anno tentarono di metterne uno ma fu presto tolto perché c’erano più morti di prima. Alcuni pazzi si erano convinti che col verde sarebbero potuti passare agli incroci senza guardarsi intorno, tritata la prima dozzina di sprovveduti decisero di tornare al sistema classico di gestione dell’incrocio. Chi suona più forte ha la precedenza. Ad aggiungere più emozione al tutto la maggior parte delle macchine sono di importazione cinese per cui hanno il volante a destra ma mantengono la guida dal lato europeo. Ora immaginatevi un’auto che con il volante a destra deve sorpassare a sinistra, prima di avere la visuale per capire se la strada è libera ha già fatto un frontale. Infatti tutte le macchine presentano dei gradevolissimi grafiti sulle fiancate sinistre.


Comunque sia arrivati in casa vedemmo che avevamo un letto matrimoniale per me e Marco, con una romantica tenda zanzariera sopra e un geco di due chili al posto del crocifisso. Febbre gialla, malaria e un altro paio di dozzine di malattie sono trasmesse dalle zanzare, mi inginocchiai e ringraziai il geco per la sua protezione, ci infilammo a letto e rincalzammo la zanzariera sotto il materasso per 20 centimetri buoni.

lunedì 19 settembre 2016

Disturbi

Di disturbi, psicopatie e problemi vari

“Eh mi fa male la gamba” è questa la risposta che do più di frequente. Il problema è che non esiste una vera domanda a cui abbinare questa risposta, è più un riflesso condizionato, una cosa che si dice d’istinto per rispondere ad uno sguardo interrogativo che chiede più spiegazioni di mille domande dirette. Questo perché effettivamente sto camminando in maniera strana, con passi di ampiezza diversa e dopo questa domanda il mio camminare diventa inequivocabilmente ancora più “sgradevole” e claudicante perché devo tener conto contemporaneamente sia di ciò che ho appena detto che del mio obiettivo principale che non ho ancora del tutto abbandonato. Anzi forse mi è ancora più caro di prima dato che per raggiungerlo ho appena fatto una figura di merda. L’obiettivo è quella fottuta striscia bianca sull’asfalto lì a 20 metri, mi guarda, mi sfida, mi lancia occhiatacce e mi dice “tanto non ce la farai a scavalcarmi con la gamba sinistra”, ma io non cedo, non voglio cedere, la striscia precedente l’ho passata con la destra, non posso passarne due di seguito con la stessa gamba, mi toccherebbe poi trovarne due da sorpassare con la gamba sinistra e so per certo che non ce ne sono altre due lungo il mio tragitto. All’inizio avevo erroneamente pensato che tenendo un’andatura regolare mi sarei trovato perfettamente di fronte alla linea ed il mio piede sinistro l’avrebbe sorpassata in scioltezza, ma ulteriori calcoli in fase di avvicinamento mi hanno mostrato l’errore di partenza, i passi si fanno via via più brevi, ricalcolo…, no niente ancora non ci siamo accorcio ancora l’ampiezza, ricalcolo… peggio mi sento, con passi più brevi il calcolo si fa più difficile, devo aumentare l’ampiezza. Ma di quanto? Ogni calcolo successivo si fa più complicato, l’ampiezza dei miei passi varia ogni due e vedo che un signore accanto mi osserva interrogandosi se stia bene o no. È lì che la risposta non può essere “sto solo cercando di arrivare con la gamba giusta alla striscia” perché altrimenti sembrerei ancora più strano di quello che sono per cui l’unica è fingere un dolore alla gamba che giustifichi questo mio camminare.
Ovviamente i più sciocchi e superficiali potrebbero invece domandarsi “per quale motivo devi superare una striscia con un piede e una con l’altro?”, è ovvio, se le passi tutte e due con lo stesso piede quello si “gonfia”, è diverso dall’altro. Si sente proprio lui a disagio e mi urla di non fargli più passare strisce per primo. È come quando sali i gradini due a due e sono dispari…. Come cazzo si fa a fare rampe di gradini dispari. I gradini dovrebbero essere pari in ogni rampa per legge. Se sono dispari una gamba ne risente perché alla fine sale un solo gradino e se invece c’è una rampa successiva ti tocca sperticarti in maniera assurda per fare il primo gradino della rampa successiva con lo stesso passo dell’ultimo della precedente. Tra l’altro in quella situazione se ti vedono non ci sono scuse che reggano, infatti io mi lancio a terra e fingo un attacco epilettico, lo trovo più dignitoso. Oppure come quelle scale con gradini stupidamente larghi per cui non ce la fai a salire un gradino a ogni passo ma non ce ne entrano due per cui ti trovi a salire sempre con la stessa gamba. Ne conto 5, faccio tre passi e via 5 con l’altra… ma se non sono multipli di 5? Gli ultimi li salgo a corsa a grandi falcate cercando di perdere il conto in modo da non dover pensare che magari il numero totale era divisibile per 4.

Capisco che siano cose “delicate” e che raccontarle possa farmi passare per pazzo, è per questo motivo che non dico mai a nessuno del filo che ho dietro attaccato alla schiena perché sarebbe ancora peggio. Ricordo ancora quando parlandone con un collega mi disse: “certo che sei strano a fare queste cose” avrei voluto dirgli che era vero, che anche io me ne vergognavo ma non riuscivo a smettere, poi però vedendolo fare incredibile attenzione a non pestare le vie di fuga delle mattonelle 60x60 ho pensato che probabilmente sono strano ma sono meno solo di quello che pensassi.

lunedì 12 settembre 2016

La Mia Africa cap 1

LA MIA AFRICA


“ARGHH!!!” mi svegliai con dolori alla pancia tipo parto. Erano fitte incredibili. Fottuti aerei, ti imbarchi che ci sono 40 gradi e sudi come un porco, in volo magari mangi qualcosa, ti appisoli e ti svegli con -5 per via dei condizionatori che ti sparano tutto il ghiaccio del polo nord sulla pancia. Ovviamente provi a coprirti con la copertina ma ormai il mostro è sveglio. Senti un alien nella pancia che desidera solo uscire, hai pochi minuti per agire, o gli lasci fare il suo percorso naturale o sarà un bagno di sangue. Ok non è sangue visto il colore, ma per consistenza e “spaglio” potrebbe assomigliargli.
Ero su questo volo dell’Ethiopian Airlines da Roma a Addis Abeba, lì avrei preso una coincidenza per Bujumbura con scalo a Kigali. “Bujumbura? E dove cazzo è?” era la domanda che nel mese precedente mi ero sentito ripetere più spesso “è la capitale del Burundi” era la mia risposta, risposta che apriva ad una seconda domanda ancora più ficcante “Burundi? E dove cazzo è?”. Avrei potuto iniziare a parlare del lago Tanganica, della Tanzania e del Rwanda, tutti luoghi che avrebbero modificato la domanda iniziale solo nella prima parola per cui avevo imparato a sparare la palla in calcio d’angolo con un diplomatico “in Africa centrale” era ovviamente una risposta che non chiariva minimamente la mia destinazione ma era pur sempre un’indicazione di massima accettabile dai più. Facendo un’analogia era come se due americani si fossero detti “dove vai?” “a Campobasso” “Campobasso? E dove cazzo è?” “in Europa” “ah, bella”… questo ipotizzando che il Molise esista davvero. Comunque in questo modo mi levavo dall’impiccio e la discussione poteva proseguire con la seconda domanda di rito “e che ci vai a fare?” “vado al matrimonio di un mio amico” “ e perché si sposa là?” “guarda, aveva cercato una chiesa a Sesto Fiorentino ma erano già tutte prenotate e la più vicina libera quel giorno era a Bujumbura”. All’occhio incredulo del mio interlocutore dovevo smascherare il mio bluff “no è burundese, ha fatto l’università qui, dai lo conosci era il mio testimone di nozze” “ma chi quello nero?” “no la ragazza mora, Elena mia cugina”. Cazzo avevo due testimoni al mio funera… matrimonio, un marcantonio di un metro e novanta nero come la pece ed una ragazza bianca di un metro e cinquanta, quale sarà mai stato l’amico africano che si sposava?
Comunque sia si sposava, lui burundese lei rwandese, volevo, voglio e vorrò sempre bene a entrambi avrei mai potuto mancare al loro matrimonio? No. Ovviamente non potevo portare né moglie né figlia piccola per via dei vaccini. Il fatto è che per andare laggiù servivano un paio di quintali di vaccini. Giuro se vai in alcuni paesi africani i vaccini non li contano più a numero ma a quintali o addirittura a pancali, li portano nella stanza dell’ospedale con il trans pallet. Lo ricordo ancora il giorno dei vaccini:
“allora dove deve andare?”
“Burundi”
“Burundi? E dov….” Ok questa parte l’abbiamo capita e possiamo serenamente saltarla. “beh per il Burundi la vaccinazione considerata obbligatoria è quella per la febbre gialla”
“vabbeh dai credevo peggio”
“poi ci sarebbero le fortemente consigliate come l’epatite A e B, la meningite (metta lei un po’ di lettere a caso), la pleurite, la stomatite e altre 15 malattie totalmente incomprensibili ma che finiscono in “ite” per cui devono essere gravi, ci risultano anche un paio di casi di qualcosite nel Leshoto e in Liberia, che faccio lascio?
“sinceramente quello ne farei a meno”
“Come mai?”
“ha mai visto una cartina dell’Africa? Sarebbe come se andassi a Parigi e mi vaccinassi contro una malattia che è presente in Groenlandia e in Turchia”
“contento lei. Allora si presenti settimana prossima con due amici”
“due amici? Perché due amici?”
“con tutti vaccini da fare il suo culo secco non basta serviranno le chiappe di almeno un paio di amici”
Armato di santa pazienza e di chiappe in prestito mi presentai per i vaccini, bucato peggio di un puntaspilli la dottoressa continuò
“ed ora parliamo di profilassi”
“no guardi, sono sposato, ho una figlia, non vado per fare sesso vado ad un matrimonio”
“ho detto profilassi non profilattici. Là c’è la malaria e va fatta la profilassi”
“scusi non era in una delle 80 siringhe che mi ha scagliato sul culo?”
“no, quelli sono vaccini, si vaccina solo la roba in “ite”, questa finisce in “aria” e non esistono vaccini ma si può fare profilassi”
“ah ok quindi con la profilassi non prendo la malaria”
“no. La puoi prendere lo stesso”
“allora che la faccio a fare?”
“sei laureato in medicina?”
“no, in economia”
“perfetto. Dicevamo la profilassi, ci sono due medicinali possibili, uno lo passa lo Stato e devi prendere una pasticca a settimana, uno costa 50 euro a scatola e prendi una pasticca al giorno”
“beh come ho detto sono laureato in economia, sparami il gratuito”
“perfetto, quei sei volumi laggiù sono le controindicazioni di quello gratuito, ho l’obbligo di dirle solo le più gravi, vomito, diarrea, ulcere, depressione, incubi, manie di persecuzione, istinti suicidi…” arrivati alle 7 piaghe d’Egitto la interruppi
“quello da 50 carte lo trovo perfetto”
Partimmo. Eravamo io, Marco, il ragazzo di Marie Claire (giuro che se un giorno ricorderò il nome lo aggiungerò ma credo non lo abbia proprio, io lo chiamavo “ragazzo di Marie Claire”) e Lorenzo, il fratello di Francesco, lo sposo. All’imbarco si presentò un amico del cugino di uno che una volta aveva incontrato uno che era al matrimonio. Insomma un perfetto sconosciuto che in comune con gli sposi aveva solo il colore della pelle e che doveva far arrivare una valigia in Burundi. Una valigia di cui non ci fu detto il contenuto ma che necessitava di un accompagnatore. L’unico che aveva meno valigie e se la poteva prendere in carico era Marco, inutile dire che il fatto di trasportare una valigia dal contenuto ignoto, per conto di una persona sconosciuta in un paese con la pena di morte e senza estradizione lo preoccupò un tantino. Ovviamente quello che accadde dopo con la valigia fu decisamente peggio ma procediamo con calma.
“argh!!!” il dolore era troppo forte, l’aereo rullava, beccheggiava, planava, che cazzo ne sapevo, faceva quello che fanno gli aerei mentre ti sballottano e te senti un treno merci senza freni in corsa nelle viscere. Mi alzai per recarmi in bagno facendo spostare i miei amici accanto “vai al cesso?” mi chiese Lorenzo “no vado a partorire” “in che senso?” “lascia perdere, umorismo bianco”. Entrai nel cesso, come tutti i cessi degli aerei era 1 metro per 1 metro, puzzava da morire, era sporco e l’aereo stava saltando le nuvole anziché passarci dentro. Non ce la facevo a sedermi sul vaso, mi faceva schifo. Ora molto probabilmente il bagno non era così drammaticamente sporco come lo sto descrivendo, credo che il problema sia mio, ho sempre avuto una rapporto di amore-odio con i cessi. Io per sentirmi a mio agio devo essere nel MIO bagno, con le MIE cose, la MIA carta igienica, il MIO bidet, il MIO asciugamani altrimenti mi blocco. Ogni piccola cosa che mi allontana da questo MIO perfetto mondo ideale mi lascia irritato, se poi siamo molto lontani arrivo addirittura al blocco intestinale (ricordo ancora alla visita di leva la tenni 3 giorni), ma lì ormai era troppo tardi, il treno stava sferragliando a tutta velocità nell’ultimo tratto di un binario morto. Mi calai pantaloni e mutande e tenendomi ad una giusta distanza dal vaso a gambe piegate… il pilota decise che era il momento perfetto per compiere un perfetto giro della morte.

Mi pulii, mi girai e notai con terrore e orrore che due minuscole palline avevano centrato il vaso, tutto il resto aveva disegnato volute ed arabeschi su tutta la tavoletta ed il muro retrostante. La respirazione mi accelerò, non sapevo cosa fare, ero in preda al panico, con la carta igienica cercai di ripulire il tutto, dopo 10 minuti l’effetto spugnato della parete mi parve un buon compromesso ed uscii “mah certa gente fa proprio schifo” dissi al signore in fila dopo di me per il bagno e raggiunsi nuovamente il mio posto.

lunedì 5 settembre 2016

Troppa trama

TROPPA TRAMA

Quelli della mia generazione hanno vissuto un’adolescenza strana, o quantomeno diversa dai giovani di oggi, non avevamo internet, gli smartphone, i cellulari, i tablet, le connsessioni, la tecnologia di ora… ma soprattutto non avevamo youporn. O meglio non avevamo lo youporn che possono avere i ragazzi di oggi, quello che trovi in internet con un semplice click e che ti apre un mondo di video, diciamo non prettamente consigliati dai medici a meno che non siano oculisti. Però anche noi avevamo i nostri impulsi, i nostri desideri ed il nostro youporn, solo che si chiamava Postalmarket. Tra l’altro era decisamente più discreto di uno schermo da cui escono urla da indemoniati, innanzitutto era quasi sempre già in bagno ma anche non lo fosse stato bastava aprirlo alla pagina dei coltelli (sì per quanto incredibile c’era anche una pagina dei coltelli) ed esclamare con disinvoltura entrando in bagno “ah pensa te è uscita la nuova serie miracle blade”, una volta chiuso in bagno ti fiondavi sulle modelle in biancheria. Inutile dire che le mie pagine preferite erano quella dei reggiseni per l’allattamento che mostravano come potevano essere aperti e quella delle mutandine. La vera festa era quando trovavi la modella mora che indossava gli slip bianchi… non so se mi spiego. A quel punto sì che ti tornava in mente il loro magnifico jingle “con Postalmarket sai uso la testa, ed ogni pacco che mi arriva è una festa” che avevo opportunamente modificato in “con Postalmarket sai uso la destra, ed ogni volta che mi arriva faccio festa”. Erano gli anni dell’innocenza… e del polso dolorante.
In quegli anni andavo anche da un barbiere dietro casa mia, era lentissimo, antipatico e tagliava i capelli di merda, ma nelle mensole sotto il lavandino aveva la più grande collezione di riviste “zozze” che chiunque avesse mai visto. Ovviamente a noi ragazzi non le faceva leggere, il mio migliore amico ci aveva provato un paio di volte ma non c’era stato verso, però spesso se ti accucciavi sulla poltrona e inclinavi il capo di 15 gradi riuscivi a vedere almeno due o tre copertine. Ovviamente, quando tornavo a casa, mia mamma si incazzava con me per il taglio tutto storto allora mi difendevo “mamma te l’avevo detto che Pasquale li taglia da schifo”. Poi Pasquale chiuse e poco più in là aprì una parrucchiera, lei non aveva giornaletti zozzi nemmeno per i clienti più grandi, ma aveva una sorella che faceva la shampista ed aveva un seno enorme, sarei andato a farmi lavare i capelli anche tre volte al giorno.
Il passo successivo fu riuscire a comprare alcuni Playboy in edicola. Avevamo 15/16 anni e non ce li avrebbero mai venduti, fortunatamente in classe con noi c’era una ragazzo ripetente, in ogni classe che si rispetti ce ne dovrebbe essere almeno uno, a 14 anni aveva più barba di quanta ne abbia mai avuta io in tutta la vita, per cui lo mandavamo avanti con una colletta dei soldi di tutti, un po’ come quando a 10 anni si mettevano gli spiccioli insieme per comprare il tango per giocare al pallone, e comprava tutto quello che riusciva a farci entrare. Da lì in poi era uno sfogliare ed urlare tutti insieme per ogni donna nuda. Poi a fine giornata nessuno se la sentiva di portare a casa quei giornaletti compromettenti per cui molto spesso si buttavano a meno che un coraggioso, sapendo i genitori non presenti in casa, si offriva di prenderli lui e nasconderli. Ovviamente non li avrebbe mai più riportati agli altri e nessuno avrebbe avuto il coraggio di richiederli.
Tutto cambiò con l’avvento di Colpo Grosso. Non potete rendervi conto dell’innovazione portata da Colpo Grosso se non avete vissuto quegli anni, era un paradiso di lussuria, peccato, seni, ragazze cin cin e “caldooo” “freddooo”. Interi gruppetti di ragazzi il giorno dopo si trovavano a disquisire con competenza e arguzia di Diritto Commerciale e di integrali risolvibili con il metodo di Riemann. In effetti questa parte era un piccolo inconveniente dovuto al fatto che Colpo Grosso lo davano sul 7 ma appena i genitori entravano in sala all’una di notte eri costretto a premere il più velocemente possibile un bottone sul telecomando e regolarmente premevi +1. Beh all’una di notte sull’otto c’erano le lezioni o di diritto o di matematica di noiosissimi e improbabili docenti che snocciolavano per ore argomenti totalmente incomprensibili. Così quando il mio babbo entrava e mi guardava con sguardo indagatore io mi limitavo a rispondere “siamo alla proprietà additiva degli integrali, molto interessante” e ovviamente dovevo lasciare quel canale finché non se ne fosse andato. In quegli anni con il furioso premere +1 e -1 imparai a calcolare chi avesse il seno più grosso tra le ragazze cin cin grazie al Teorema del Confronto tra integrali.
Però volevamo di più per cui una volta cresciuti e diventati maggiorenni, o quanto meno sembrandolo un po’ tutti, non potevamo accontentarci, dovevamo passare a roba più seria. Le videocassette, le noleggiavamo, le sdoppiavamo e le commerciavamo tra noi in classe. Ogni tanto arrivava uno con la frase “ehi ragazzi ieri ne ho visto uno fighissimo, roba incredibile, chi lo vuole” ed era tutto uno sbracciarsi “io” “io”, “ok allora te domani e te dopo il fine settimana appena me lo riporta il bidello” “come il bidello?” “oh se non glielo davo mi rompeva le palle perché ero a fumare”. Il bidello diventò presto punto di scambio e raccordo tra chi voleva fumare e chi vedere i porno. Ma il vero problema nei porno di allora era la trama.

La questione della trama è un elemento prettamente maschile, mi spiego, quando andavamo a noleggiare i porno alle superiori non c’erano le videobank impersonali dove mettevi una tesserina, il codice segreto a 4 cifre che conservavi nelle mutande ed entravi nel magico mondo di titoli e locandine porno che sfogliavi con attenzione fino a che non trovavi il titolo a te più gradito. No. Entravi da Imperial andavi dal commesso che stava alle videocassette e con fare fintamente disinteressato chiedevi “un film… (pausa ad effetto) di quelli con la X” lui capiva, andava dietro una tenda rossa e tornava con una videocassetta chiusa in una scatola nera. Nessuno aveva il coraggio di mettersi lì a guardare cosa ci fosse dentro per discutere magari con il commesso di scene madri o visione del regista, uscivi e correvi via. Arrivavi a casa e la aprivi nella forte speranza di non trovare un film che avevi già preso o peggio un film per gay. Il fatto è che se eri da solo poco male se invece dovevi vederlo con gli amici aver preso un film di merda ti marchiava a fuoco. Ti avrebbero offeso per settimane e tra tutte le colpe la peggiore era se il film aveva lunghissimi e noiosissimi discorsi al che tutti si alzavano urlando “TROPPA TRAMA” e ti riempivano di pattoni.