lunedì 3 aprile 2017

L'ultimo

L'ULTIMO

Era un bell’ufficio. Elegante, mobili di legno, poltrone di pelle, senza dubbio l’ufficio che avrebbe voluto anche lui se avesse avuto senso per lui averne uno.
La segretaria lo aveva fatto accomodare subito indicandogli la sedia di fronte alla scrivania in cristallo. Adesso, seduto, fissava la grande poltrona dirigenziale vuota che si trovava dall’altro lato del tavolo. Molto probabilmente si sarebbe sentito in soggezione se non fosse stato abituato a trovarsi da quel lato delle scrivanie.
Dopo pochi minuti di attesa un distinto signore entrò e gli fece un cenno di saluto con il capo mentre ancora continuava a impartire ordini al telefono che aveva attaccato all’orecchio. Era indubbiamente un pezzo grosso di quell’azienda, lo si capiva dall’ufficio, dall’atteggiamento e da come era vestito. Un modo di fare sicuro, la voce alta e potente con un modo di parlare autoritario e incisivo. Il vestito era impeccabile, un completo di marca che probabilmente costava quanto lo stipendio di una decina di suoi sottoposti.
Lui invece aveva messo la sua “divisa d’ordinanza”, un abito che desse un’idea di curato ma che facesse chiaramente capire che era ormai un po’ vecchio e datato. Aveva tanti difetti ma non certo quello di non saper mettere a suo agio il proprio interlocutore. Sapeva che gli uomini che lo contattavano avevano il bisogno di avvertirlo come uno che non era loro pari. Uno inferiore.
Attese fermo sulla sua poltroncina mentre l’altro continuava a blaterare al telefono, abbassò anche un po’ lo sguardo fingendosi intimorito da quelle cifre che venivano snocciolate con così tanta tranquillità. Quando ebbe finito il manager lo squadrò dall’alto in basso e si lasciò cadere sulla sua grande poltrona dirigenziale.
“Allora è lei?”
“Sì” rispose mantenendo una voce bassa, sapeva che doveva mostrarsi dimesso.
“Hmm non mi sembra particolarmente in forma, è sicuro di farcela?”
“Beh sì, tanto non devo mica vincere”.
“Ahahah no, no ci mancherebbe altro” rise ad alta voce il manager “su questo ha ragione, ma non può nemmeno non farcela proprio, un minimo deve essere competitivo”.
“Ah non si preoccupi per quello, mi tengo abbastanza in forma, stia tranquillo che non la farò sfigurare”.
“Bene. Molto bene” lo guardava un po’ stupito, sicuramente si stava chiedendo come un uomo potesse abbassarsi a così tanto. Come poteva accettare un lavoro tanto umiliante? Come poteva aver rinunciato al proprio amor proprio fino a questo punto? Avrebbe di sicuro voluto chiederglielo ma non sapeva bene come porre la questione per cui si limitò a ripetere “molto bene”.
“Perfetto allora ho qua il contratto da farle firmare” tirò fuori dalla sua borsa, un po’ dimessa come lui, un foglio in due pagine e lo fece scivolare sul piano di cristallo della scrivania fino ad arrivare nelle mani del suo interlocutore.
“Un… un contratto? È previsto anche un contratto?”
“Beh, certo “sorrise “la mia è comunque una prestazione professionale”.
“Sì, certo” rispose in tono sarcastico “professionale, proprio professionale” scandì le parole nella speranza di umiliarlo. Ovviamente non lo scalfì minimamente, per chi faceva il suo lavoro ignorare il sarcasmo altrui era la regola base.
“Se vuole leggerlo con calma posso uscire”.
“No no, non si preoccupi, lo leggo e firmo subito” prese a leggere borbottando incomprensibilmente tranne alcune parti che sembravano piacergli particolarmente, “sono ammesse le offese. Interessante. Che tipo di offese?”
“Quello possiamo concordarlo, seguono la tabella A in seconda pagina. Ci sono tre categorie, le offese generiche e personali, le offese alla famiglia e infine le offese pesanti accompagnate da sputi”.
“Oh! Anche gli sputi?” chiese incuriosito.
“Sì certo. Ovviamente solo da parte di chi ha presentato regolare certificato medico che dichiari la totale assenza di malattie trasmissibili” sapeva che questa cosa piaceva a molti, non erano in tanti nel suo ambiente ad accettare gli sputi.
“Ovviamente, ovviamente” continuò a leggere “non sono in alcun caso previste le percosse. Vabbè percosse, una spinta o una pacca non vorremo considerarle percosse vero?”
“Beh in effetti sì, la legge è chiara, non deve esserci il minimo contatto fisico”.
“Ma insomma” sbottò l’uomo d’affari “che vuol dire senza contatto fisico? Una pacca sulla spalla mentre le dico che è uno stronzo mi metterebbe nei guai con la legge?”
“Purtroppo sì”.
“È assurdo, è semplicemente assurdo. Sono gesti d’amicizia, di convivialità. Possibile che non si possa fare un’eccezione?”
“Mi sta per caso chiedendo di fare qualcosa di illegale?” chiese con una voce particolare. Una voce che aveva esercitato negli anni, l’aveva limata, lavorata, arrotondata, l’aveva studiata a lungo. Era il classico tono che pareva indignato dell’offerta ma che faceva capire che c’era margine di negoziazione.
“No, figuriamoci. Non chiederei mai qualcosa di non consentito. Però ecco…” cercava di pesare le parole “una pacca e un pugno sono due cose diverse. La prima è un gesto di amicizia mentre il secondo è una percossa. Ecco vorrei tenerle ben separate”.
Lo sapeva, alla fine arrivavano tutti lì, nessuno accettava di potersi sfogare solo a parole, certo gli sputi aiutavano ad avere contratti ma era sulle percosse che si facevano i veri soldi. Ormai quell’arrogante, presuntuoso e borioso era nelle sue mani. Lo sapeva da quando era entrato in quell’ufficio così elegante e pretenzioso che avrebbe avuto il contratto ma ora sapeva anche quanto ne avrebbe ricavato. “Si può fare” si limitò a concludere.
Sulla faccia dell’uomo si aprì un gran sorriso, era convinto di aver vinto mentre si era andato a mettere proprio nelle mani di quell’uomo insignificante e dimesso che si trovava seduto di fronte a lui. “Perfetto. Assolutamente perfetto. Devo firmare in fondo vero?”.
“Sì certo, ah ovviamente dobbiamo firmare anche l’allegato del compenso”.
“Ovvio, ovvio. Ci mancherebbe” ormai tradiva l’emozione per l’affare concluso, mostrandosi così ancora più debole di fronte al suo interlocutore.
“Quindi ricapitolando: lei desidera che arrivi ultimo”.
“Ovvio”.
“Ma non troppo separato in modo che la gara sembri comunque combattuta”.
“Certo, altrimenti a che serve”.
“Presumo scelga quindi la proposta A3 per la quale all’arrivo sarete liberi di offendere me, la mia famiglia e sputarmi addosso”.
“Sì, sì proprio quella” era ormai estasiato.
“Perfetto. Fanno 200 crediti”.
“200 crediti?” urlò alzandosi dalla poltrona “è per caso impazzito! Ma si rende conto di quanti soldi sta chiedendo?”
“Beh sì, ma la mia è una prestazione professionale di altissimo livello. La sfido a trovare un altro corridore che arrivi ultimo di poco e si faccia sputare a meno di 250 crediti” li conosceva bene i prezzi della concorrenza per cui sapeva di essere competitivo “certo se si accontenta di uno che magari a metà corsa si ritira e non arriva nemmeno all’arrivo a farsi offendere sono sicuro che con 50 crediti se la caverà”.
“No, no quello no. Per carità! Però 200 crediti sono un’enormità. Alla fine la nostra è semplicemente una garetta aziendale. Tra colleghi” insisteva cercando di strappare uno sconto.
“Capisco, allora immagino che non ci siano problemi se ad arrivare ultimo sarà uno dei suoi dipendenti…” fece una pausa ad effetto “…o dei suoi dirigenti”.
“Non scherziamo” sbottò “la nostra è un’azienda solida e dai sani principi. Da noi non esistono ultimi, in 10 anni che facciamo le gare aziendali mai uno di noi è arrivato ultimo”.
“Lo capisco, ha perfettamente ragione. Fanno 200 crediti, può firmare in calce al contratto e al modulo di pagamento”.
Con il volto ancora rosso dalla rabbia firmò entrambi i fogli e li porse a quel piccolo meschino e viscido uomo che era disposto ad accettar soldi per farsi umiliare. “E per quanto riguarda l’altra cosa? I gesti di convivialità come la mettiamo?” chiese impaziente.
“Per quello sono altri 200 crediti” il manager avvampò ma prima che potesse urlare proseguì “ovviamente non trattabili, in nero, pagamento anticipato e per anticipato intendo ora” sembrava quasi trasformato, non era più il remissivo individuo entrato nell’ufficio per farsi sbranare. Era lui che conduceva la trattativa. “Ah sia chiaro, nessuna ferita permanente o vi manderò l’Ente di Controllo e Tutela”.
Si alzò e tese la mano in segno di amicizia, il manager ancora livido dalla rabbia, allungo i 200 crediti nella sua mano rifiutandosi però di stringergliela. “Se ne può andare, la data della gara la conosce”.
Se ne uscì dall’ufficio, ormai il suo passo era decisamente meno dimesso di quando era entrato. In meno di mezz’ora aveva guadagnato più di quanto la maggior parte dei dipendenti della ditta guadagnassero in 6 mesi di duro lavoro. Erano le 12:00 se faceva veloce avrebbe potuto ancora fissare altri due appuntamenti in altrettante aziende.

Maggio era un mese stupendo, tutte le aziende fissavano attività ludico sportive.

Nessun commento:

Posta un commento