L'ULTIMO
Era un bell’ufficio. Elegante, mobili di legno, poltrone di
pelle, senza dubbio l’ufficio che avrebbe voluto anche lui se avesse avuto
senso per lui averne uno.
La segretaria lo aveva fatto accomodare subito indicandogli
la sedia di fronte alla scrivania in cristallo. Adesso, seduto, fissava la
grande poltrona dirigenziale vuota che si trovava dall’altro lato del tavolo.
Molto probabilmente si sarebbe sentito in soggezione se non fosse stato
abituato a trovarsi da quel lato delle scrivanie.
Dopo pochi minuti di attesa un distinto signore entrò e gli
fece un cenno di saluto con il capo mentre ancora continuava a impartire ordini
al telefono che aveva attaccato all’orecchio. Era indubbiamente un pezzo grosso
di quell’azienda, lo si capiva dall’ufficio, dall’atteggiamento e da come era
vestito. Un modo di fare sicuro, la voce alta e potente con un modo di parlare
autoritario e incisivo. Il vestito era impeccabile, un completo di marca che
probabilmente costava quanto lo stipendio di una decina di suoi sottoposti.
Lui invece aveva messo la sua “divisa d’ordinanza”, un abito
che desse un’idea di curato ma che facesse chiaramente capire che era ormai un
po’ vecchio e datato. Aveva tanti difetti ma non certo quello di non saper
mettere a suo agio il proprio interlocutore. Sapeva che gli uomini che lo
contattavano avevano il bisogno di avvertirlo come uno che non era loro pari.
Uno inferiore.
Attese fermo sulla sua poltroncina mentre l’altro continuava
a blaterare al telefono, abbassò anche un po’ lo sguardo fingendosi intimorito da
quelle cifre che venivano snocciolate con così tanta tranquillità. Quando ebbe
finito il manager lo squadrò dall’alto in basso e si lasciò cadere sulla sua
grande poltrona dirigenziale.
“Allora è lei?”
“Sì” rispose mantenendo una voce bassa, sapeva che doveva
mostrarsi dimesso.
“Hmm non mi sembra particolarmente in forma, è sicuro di
farcela?”
“Beh sì, tanto non devo mica vincere”.
“Ahahah no, no ci mancherebbe altro” rise ad alta voce il
manager “su questo ha ragione, ma non può nemmeno non farcela proprio, un
minimo deve essere competitivo”.
“Ah non si preoccupi per quello, mi tengo abbastanza in
forma, stia tranquillo che non la farò sfigurare”.
“Bene. Molto bene” lo guardava un po’ stupito, sicuramente
si stava chiedendo come un uomo potesse abbassarsi a così tanto. Come poteva
accettare un lavoro tanto umiliante? Come poteva aver rinunciato al proprio
amor proprio fino a questo punto? Avrebbe di sicuro voluto chiederglielo ma non
sapeva bene come porre la questione per cui si limitò a ripetere “molto bene”.
“Perfetto allora ho qua il contratto da farle firmare” tirò
fuori dalla sua borsa, un po’ dimessa come lui, un foglio in due pagine e lo
fece scivolare sul piano di cristallo della scrivania fino ad arrivare nelle
mani del suo interlocutore.
“Un… un contratto? È previsto anche un contratto?”
“Beh, certo “sorrise “la mia è comunque una prestazione
professionale”.
“Sì, certo” rispose in tono sarcastico “professionale,
proprio professionale” scandì le parole nella speranza di umiliarlo. Ovviamente
non lo scalfì minimamente, per chi faceva il suo lavoro ignorare il sarcasmo
altrui era la regola base.
“Se vuole leggerlo con calma posso uscire”.
“No no, non si preoccupi, lo leggo e firmo subito” prese a
leggere borbottando incomprensibilmente tranne alcune parti che sembravano
piacergli particolarmente, “sono ammesse
le offese. Interessante. Che tipo di offese?”
“Quello possiamo concordarlo, seguono la tabella A in
seconda pagina. Ci sono tre categorie, le offese generiche e personali, le
offese alla famiglia e infine le offese pesanti accompagnate da sputi”.
“Oh! Anche gli sputi?” chiese incuriosito.
“Sì certo. Ovviamente solo da parte di chi ha presentato
regolare certificato medico che dichiari la totale assenza di malattie
trasmissibili” sapeva che questa cosa piaceva a molti, non erano in tanti nel
suo ambiente ad accettare gli sputi.
“Ovviamente, ovviamente” continuò a leggere “non sono in alcun caso previste le percosse.
Vabbè percosse, una spinta o una pacca non vorremo considerarle percosse vero?”
“Beh in effetti sì, la legge è chiara, non deve esserci il
minimo contatto fisico”.
“Ma insomma” sbottò l’uomo d’affari “che vuol dire senza
contatto fisico? Una pacca sulla spalla mentre le dico che è uno stronzo mi
metterebbe nei guai con la legge?”
“Purtroppo sì”.
“È assurdo, è semplicemente assurdo. Sono gesti d’amicizia,
di convivialità. Possibile che non si possa fare un’eccezione?”
“Mi sta per caso chiedendo di fare qualcosa di illegale?”
chiese con una voce particolare. Una voce che aveva esercitato negli anni,
l’aveva limata, lavorata, arrotondata, l’aveva studiata a lungo. Era il
classico tono che pareva indignato dell’offerta ma che faceva capire che c’era
margine di negoziazione.
“No, figuriamoci. Non chiederei mai qualcosa di non consentito.
Però ecco…” cercava di pesare le parole “una pacca e un pugno sono due cose
diverse. La prima è un gesto di amicizia mentre il secondo è una percossa. Ecco
vorrei tenerle ben separate”.
Lo sapeva, alla fine arrivavano tutti lì, nessuno accettava
di potersi sfogare solo a parole, certo gli sputi aiutavano ad avere contratti
ma era sulle percosse che si facevano i veri soldi. Ormai quell’arrogante,
presuntuoso e borioso era nelle sue mani. Lo sapeva da quando era entrato in
quell’ufficio così elegante e pretenzioso che avrebbe avuto il contratto ma ora
sapeva anche quanto ne avrebbe ricavato. “Si può fare” si limitò a concludere.
Sulla faccia dell’uomo si aprì un gran sorriso, era convinto
di aver vinto mentre si era andato a mettere proprio nelle mani di quell’uomo
insignificante e dimesso che si trovava seduto di fronte a lui. “Perfetto.
Assolutamente perfetto. Devo firmare in fondo vero?”.
“Sì certo, ah ovviamente dobbiamo firmare anche l’allegato
del compenso”.
“Ovvio, ovvio. Ci mancherebbe” ormai tradiva l’emozione per
l’affare concluso, mostrandosi così ancora più debole di fronte al suo
interlocutore.
“Quindi ricapitolando: lei desidera che arrivi ultimo”.
“Ovvio”.
“Ma non troppo separato in modo che la gara sembri comunque
combattuta”.
“Certo, altrimenti a che serve”.
“Presumo scelga quindi la proposta A3 per la quale
all’arrivo sarete liberi di offendere me, la mia famiglia e sputarmi addosso”.
“Sì, sì proprio quella” era ormai estasiato.
“Perfetto. Fanno 200 crediti”.
“200 crediti?” urlò alzandosi dalla poltrona “è per caso
impazzito! Ma si rende conto di quanti soldi sta chiedendo?”
“Beh sì, ma la mia è una prestazione professionale di
altissimo livello. La sfido a trovare un altro corridore che arrivi ultimo di
poco e si faccia sputare a meno di 250 crediti” li conosceva bene i prezzi
della concorrenza per cui sapeva di essere competitivo “certo se si accontenta
di uno che magari a metà corsa si ritira e non arriva nemmeno all’arrivo a
farsi offendere sono sicuro che con 50 crediti se la caverà”.
“No, no quello no. Per carità! Però 200 crediti sono
un’enormità. Alla fine la nostra è semplicemente una garetta aziendale. Tra
colleghi” insisteva cercando di strappare uno sconto.
“Capisco, allora immagino che non ci siano problemi se ad
arrivare ultimo sarà uno dei suoi dipendenti…” fece una pausa ad effetto “…o
dei suoi dirigenti”.
“Non scherziamo” sbottò “la nostra è un’azienda solida e dai
sani principi. Da noi non esistono ultimi, in 10 anni che facciamo le gare
aziendali mai uno di noi è arrivato ultimo”.
“Lo capisco, ha perfettamente ragione. Fanno 200 crediti,
può firmare in calce al contratto e al modulo di pagamento”.
Con il volto ancora rosso dalla rabbia firmò entrambi i
fogli e li porse a quel piccolo meschino e viscido uomo che era disposto ad
accettar soldi per farsi umiliare. “E per quanto riguarda l’altra cosa? I gesti
di convivialità come la mettiamo?”
chiese impaziente.
“Per quello sono altri 200 crediti” il manager avvampò ma
prima che potesse urlare proseguì “ovviamente non trattabili, in nero,
pagamento anticipato e per anticipato intendo ora” sembrava quasi trasformato,
non era più il remissivo individuo entrato nell’ufficio per farsi sbranare. Era
lui che conduceva la trattativa. “Ah sia chiaro, nessuna ferita permanente o vi
manderò l’Ente di Controllo e Tutela”.
Si alzò e tese la mano in segno di amicizia, il manager
ancora livido dalla rabbia, allungo i 200 crediti nella sua mano rifiutandosi
però di stringergliela. “Se ne può andare, la data della gara la conosce”.
Se ne uscì dall’ufficio, ormai il suo passo era decisamente
meno dimesso di quando era entrato. In meno di mezz’ora aveva guadagnato più di
quanto la maggior parte dei dipendenti della ditta guadagnassero in 6 mesi di
duro lavoro. Erano le 12:00 se faceva veloce avrebbe potuto ancora fissare altri
due appuntamenti in altrettante aziende.
Maggio era un mese stupendo, tutte le aziende fissavano
attività ludico sportive.
Nessun commento:
Posta un commento